Nella vivace confusione dell’area ristorazione, camerieri dal portamento sicuro e dall’aria ospitale si muovono con gesti abituali e precisi. I fuochi accesi illuminano l’area i diversi ristoranti, dove bracieri e padelle sfrigolanti diffondono aromi nell’aria e fanno da sottofondo alle chiacchiere diffuse. Dietro i banconi, uomini con lunghe tuniche bianche e visi segnati dal calore delle fiamme mescolano riso bollente, girano spiedini e impastano pane con movimenti rapidi e decisi, quasi fosse una danza quotidiana. In ogni gesto esperienza e orgoglio, come se ogni piatto fosse un’offerta di ospitalità e riflesso della vita in Oman.
Uno dopo l’altro, i clienti locali si fanno largo tra la folla per ritirare la propria cena, avviandosi poi verso i tavoli poco più in là. Le voci si intrecciano, l’umore è alle stelle.
È una calda serata della stagione più torrida a Salalah, nella provincia del Dhofar Omanita, al confine occidentale con la Repubblica dello Yemen. Come spesso accade, alle 21:00 la notte è appena cominciata: di lì a poco le strade diventeranno il palcoscenico della vita notturna di adulti e bambini.
Cristina: guida turistica e anima di Salalah
Tra la folla si muove con naturalezza anche Cristina che, da perfetta “padrona di casa”, ci guida alla scoperta della cucina omanita: riso qabooli con pollo al cocco, baba ganoush, spiedini di carne di cammello e paratha; il tutto accompagnato da un bicchiere di tè o dal caratteristico karak chai.
È da poco tornata da un weekend nel deserto dove, sfrecciando veloce tra le dune e tagliando la polvere, ha fatto da guida a una coppia di giovani sposi in luna di miele nel paese.
Nel ristorante la conoscono tutti: con il suo velo bordeaux sembra confondersi bene tra la folla. Ma Cristina è tutto tranne che una persona che può passare indifferente: chiunque nella food court sembra conoscerla, e nessuno perde l’occasione di fare due parole con lei.
L’inizio di un’avventura: l’approdo in Oman

Cristina è arrivata a Salalah oltre sei anni fa, lasciando alle spalle la suo Padova, città nord orientale della penisola italiana, alla ricerca di un’avventura e di un nuovo inizio.
Quando decise di preparare le sue valigie e lasciarsi alle spalle l’Italia, Cristina aveva già sentito parlare della penisola arabica. La curiosità era cresciuta negli anni, fomentata dagli ostacoli che fino ad allora l’avevano bloccata fuori dal confine Omanita. I prezzi alle stelle e l’obbligo di visitare il paese solo attraverso tour organizzati avevano rappresentato un problema. Ma, con un biglietto in tasca e un sogno da realizzare nella nuova valigia verde, nulla sembrava più poterla fermare.
Quando finalmente vi mise piede, decise di non affrettare le cose. Si prese due mesi per viaggiare da nord a sud, per osservare i volti, i paesaggi e le notti stellate. Voleva capire dove avrebbe potuto piantare radici, quale luogo poteva davvero diventare casa sua.
Il desiderio di vivere all’estero la inseguiva da anni. L’Italia, amata eppure stretta, era ormai alle sue spalle: serviva un nuovo inizio. L’Oman era nella lista dei suoi sogni da tempo, anche se per anni rimase un miraggio. Poi la porta si aprì: aveva letto che le donne potevano viaggiare da sole, e partì.
Trovarsi casa: Salalah

Scelse di mettersi alla prova nei due mesi peggiori dell’anno: 50 gradi, con l’umidità che schiacciava al petto ogni respiro. Arrivata a Mascate, scoprì che non faceva per lei. Troppo caldo, troppo silenzio serale, una città che si addormentava presto, quando lei cercava ancora vita. Così prese un autobus per Salalah: 12 ore nella zona dell’autobus dedicata alle donne, attraversando il silenzio del deserto. Senza connessione o visioni di altre auto, il buio era interrotto solo da baracchini isolati dove il vento porta polvere e tè bollente.
L’arrivo fu una piacevole sorpresa. A Salalah l’aria era fresca e la città in fermento: era il Khareef, la stagione delle piogge, che comincia il 21 giugno. Tutto si tingeva di verde, cascate improvvise cadevano dalle rocce, le famiglie si radunavano per i festival. Di notte, la vita si accendeva: bambini che giocavano fino a tardi per le strade, adulti seduti all’aperto, risate sulla spiaggia attorno a una macchina parcheggiata di fronte al mare. Capì subito cosa attraeva i turisti del Golfo in quella meravigliosa città.
In quel clima umido e vivace, tra notti passate sotto le stelle e nuove amicizie, capì che aveva trovato casa. Cristina era arrivata in Oman nel suo periodo più florido. E se ne innamorò.
Un nuovo progetto di vita e la scelta di convertisti all’islam

Non appena trovò il modo, Cristina iniziò il suo percorso che la portò presto a diventare guida turistica, facendosi un nome nella zona. Oltre al percorso da guida turistica, si è presto imbattuta anche in un altro tipo di scelta di vita.
Il fumo ribolle nella shisha mentre Cristina, guardando l’orizzonte di Salalah leggermente stravaccata, ci racconta come ha abbracciato la religione Islamica.
«Ho sempre creduto in un Dio, ma non mi sono mai ritrovata nella religione cattolica. Sapevo che c’era qualcosa, ma non riuscivo a definire cosa fosse».
Così Cristina racconta il suo percorso interiore, iniziato a contatto con la vita quotidiana in Oman. Fin dal suo arrivo rimase colpita dalla serenità e dalla pace interiore delle persone. «Da buona italiana io ero sempre nervosa», scherza Cristina, «ma loro sembravano sempre tranquilli e rilassati».
La loro tranquillità e ospitalità la conquistarono. Fermarsi per strada a offrire un passaggio, o invitarti a bere un tè caldo: erano tutti gesti naturali, parte della loro cultura. Vederli pregare la incuriosì. «Mi trasmetteva molta serenità. È così che cominciai a leggere il Corano», racconta.
“La fede cominciò a trasmettermi serenità: nel Corano nulla è legato agli aspetti materiali, e tutto si affida alla volontà di Dio. Se qualcosa accade, non resta che accettarlo così com’è. Arrabbiarsi o ribellarsi non serve a nulla: è parte del destino, e bisogna accoglierlo con pace interiore”.
Durante il difficile periodo del Covid, rimasta sola in una casa troppo grande, la solitudine cresceva e i soldi cominciavano a mancare. Con l’arrivo del Ramadan, Cristina iniziò a pregare seguendo video su YouTube. Un po’ incuriosita, un po impacciata’, un po’ coraggiosa. La sera ascoltava il Corano, e pian piano trovò anche il sonno. «Mi sentivo bene. Mi sentivo protetta».
Settembre: prime piogge e nuovi inizi

Il ritorno in Italia, nel luglio 2021, fu un momento di frattura. Una valigia semi vuota, riempita solo di vestiti estivi, ciabatte e un tappeto per pregare. Tra appuntamenti per riallacciare i rapporti, interviste di lavoro e pianti per la distanza da casa, l’autunno arrivò presto. Cristina ne sentiva il peso: sempre meno soldi da spendere in vestiti pesanti, e nessun desiderio di restare.
Le lacrime scendevano al ricordo dell’Oman e della sua gente gentile e ospitale. Continuava a pregare, chiedendo ad Allah di poter tornare. «Se mi fai tornare in Oman, io divento musulmana», promise nelle sua du’a.
Bastarono tre giorni perché la fatidica telefonata oltre confine arrivò. Un tour operator di Salalah cercava una guida, e aveva sentito parlare di Cristina.
«Non volevo neanche sapere quanto mi avrebbero pagato. Volevo solo partire e tornare a casa».
Fu il segno che aspettava.
Raggiunse Dubai, affrontando burocrazia e sportelli per ottenere il visto che le avrebbe permesso di vivere nella sua amata Oman. Tornata alla sua vita in Oman, riprese a studiare il Corano con un imam tre volte a settimana. Leggevano insieme passi sacri, parlando di diritti e doveri di ogni musulmano. La sua vita si fece semplice, ritmata da piccole gioie. «Sedermi in montagna mentre qualcuno prepara del tè: è tutto ciò di cui ho bisogno».
A Salalah, tra piogge monsoniche e notti stellate, trovò di nuovo la sua strada. E, nel Febbraio 2022, con la sua Shahadah fece la sua testimonianza di fede e divenne ufficialmente musulmana.
La scelta di indossare il velo
La scelta di indossare il velo è spesso contestata nel mondo occidentale, visto come violazione della libertà delle donne. Nell’esperienza di Cristina, ci racconta, il velo è stata una scelta completamente personale e per niente forzata.
“L’ha sentito naturale, si sente come se fosse nata così”
Lo provò un giorno per curiosità e se ne innamorò: da allora non riesce più a immaginarsi senza.
Il velo per lei non è solo un simbolo esteriore, ma un riflesso di una spiritualità più profonda. Per molti musulmani, non è un obbligo, ma un bisogno interiore: dopo la conversione ognuno sceglie se portarlo o meno. E così lei scelse di farne parte del suo essere.
“Mi sentivo bene. Mi sentivo protetta”
Preservazione della cultura e le difficoltà nell’essere uno straniero in Oman

L’Oman è famoso nel mondo per essere uno dei pochi paesi che si è rifiutato di abbandonare la propria tradizione in nome della modernità. Con l’obiettivo di preservare la storia e la cultura millenarie locali, il paese ha per anni mantenuto un approccio piuttosto chiuso verso il turismo e l’immigrazione. Recentemente, anche a causa della rivoluzione energetica a discapito del petrolio, il paese si è aperto verso il turismo – in particolare quello di lusso. Questo ha fatto sì che negli anni il paese sia velocemente cambiato, con i venditori nei mercati, un tempo silenziosi e riservati, oggi più insistenti e orientati al turista, o il minore interesse verso l’onesta divulgazione della propria cultura.
Questo cambiamento, però, non è arrivato ai “nuovi omaniti”, che ancora si ritrovano limitati nelle proprie libertà quotidiane nel paese.
Oggi Cristina si sente parte di questa terra. Nei suk e nei mercati tutti la conoscono e la considerano una di loro. Ma esserlo davvero, a livello ufficiale, non è così semplice. Ottenere la cittadinanza richiede dieci anni di residenza ininterrotta, un matrimonio con un omanita e la rinuncia al proprio passaporto. «Diventare omanita per gli stranieri è difficile», racconta.
Al tempo stesso, però, vivere come straniera comporta delle limitazioni alla sua vita in Oman: non ci sono agevolazioni per chi viene da fuori, non avrà una pensione, non può comprare una casa.
Eppure, nonostante le difficoltà, Cristina resta legata al Dhofar e al suo popolo. «Omanita nel cuore, ma con un passaporto italiano», dice. Vestita di un lungo abito tradizionale, con il velo che incornicia il suo viso e le illumina gli occhi, Cristina cammina tra le strade di Salalah come se fosse davvero casa sua.
Scopri di più su @headabroad